tag:blogger.com,1999:blog-34831368458560851452024-03-05T02:21:00.395-08:00Associazione Imago Siciliae<center> La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita,
nunzia dell’antichità.(Cicerone)</center>Ruggero D'Amicohttp://www.blogger.com/profile/02039917167901649522noreply@blogger.comBlogger10125tag:blogger.com,1999:blog-3483136845856085145.post-10115047492475760502013-02-21T17:08:00.000-08:002013-02-21T17:08:08.175-08:00Miniere e Metallurgia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPKSu8Joh6MFN_Al8yg4jF4vtk1AUDqQhGEor4UlDceIAAQykzALIQVKPlZdRvsJLZZWkprf5YI2-UJQoe9aAZOb8UjLhQrdaVwireEYnCU9WpQnOR0dUYThBAcVJCwKF7OMklJYTS5gAt/s1600/metallurgia1.gif" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPKSu8Joh6MFN_Al8yg4jF4vtk1AUDqQhGEor4UlDceIAAQykzALIQVKPlZdRvsJLZZWkprf5YI2-UJQoe9aAZOb8UjLhQrdaVwireEYnCU9WpQnOR0dUYThBAcVJCwKF7OMklJYTS5gAt/s1600/metallurgia1.gif" /></a></div>
Con il termine industria accentrata si può definire quell’attività di trasformazione svolta dai lavoratori sotto sorveglianza e direzione di un supervisore, dietro compenso e con strumenti non appartenenti ad essi. Questa tipologia d’industria è tipica dell’Europa moderna, ma già nelle epoche più antiche ve n’erano presenti alcuni tipi: nell’impero romano erano presenti opifici statali, in cui lavoravano schiavi o lavoratori liberi pagati in natura.<br />
Uno degli esempi tipici di lavoro accentrato erano le miniere. In queste, soprattutto le più piccole, il lavoro veniva svolto da produttori indipendenti, che praticavano scavi o incisioni superficiali, vendendo i filoni di minerale ricavato ai mercanti. In questo tipo di miniera, i minatori svolgevano altre attività, oltre quelle estrattiva: erano spesso piccoli proprietari terrieri o affittuari, per la maggior parte del tempo lavoravano i campi, e solo in tempi morti dedicavano le loro energie all’estrazione del minerale. Nel Medioevo, era frequente che questi lavoratori si riunissero a formare compagnie per ottenere, collettivamente, la licenza di scavo.<br />
Tra il Duecento ed il Trecento, vi furono apportati diversi cambiamenti nell’attività mineraria: gallerie più profonde e l’applicazione di tecniche entrate in uso nel mondo rurale, come la ruota ad acqua ed i canali di drenaggio. Queste tecnologie favorivano la fuori uscita dell’acqua dai canali e prevenivano l’infiltrazione di essa, così da garantire ai minatori una penetrazione maggiore nella montagna e quindi l’estrazione dei filoni più profondi. Nella seconda metà del Quattrocento venne utilizzata la polvere da sparo per aprire varchi più ampi nel terreno, ma soltanto nel Seicento se ne fece un uso sistematico. Sempre nel Quattrocento sono datati i primi utilizzi di carrelli per il trasporto dei minerali, prima su rotaie di legno, progressivamente sostituite da quelle in ferro, l’uso di frantoi idraulici per la frantumazione dei prodotti estratti, l’uso di laveria a scorrimento, a flottazione o a catena. L’industria mineraria fece un altro balzo avanti così importante solo nel Settecento, dopo che venne introdotta la tecnologia a vapore. <br />
Se nel Medioevo l’industria estrattiva era organizzata in piccole compagnie, un’organizzazione totalmente diversa si ebbe durante l’età moderna. Il minerale veniva estratto da gruppi di lavoratori che operavano agli ordini di un coordinatore, le attrezzature utilizzate per lo sfruttamento della miniera erano notevolmente costose e di grandi dimensioni, ed ancor di più lo erano i macchinari per la frantumazione, il lavaggio e la torrefazione del minerale, quindi risultava difficile e scomodo spostare questi macchinari, era più utile lavorare il minerale appena estratto dalla miniera. Sicuramente, già nel XVI secolo, un’organizzazione accentrata era in uso nella maggior parte delle miniere europee, accanto a questa sorgevano capannoni in cui i lavoratori potevano dormire e rifocillarsi.<br />
Per molti secoli il settore metallurgico fu incapace di raggiungere un livello più alto, soprattutto per la lavorazione del ferro, il metallo più abbondante in natura, ma anche quello più difficile da lavorare. Dall’età del ferro, l’uso di questo aprì la strada in diversi campi dell’attività dell’uomo: agricoltura, guerra, industria e commercio. Per più di duemila anni, in Europa, la tecnologia siderurgica rimase pressoché invariata. Nell’prima dell’anno Mille un contadino avrebbe potuto disporre di pochissimi grammi di ferro l’anno, questo era quasi tutto utilizzato per la costruzione di armi per i nobili ed i cavalieri. Tra il Medioevo e l’età moderna i progressi maggiori furono apportati nel settore siderurgico. La lavorazione del ferro, come detto sopra, era particolarmente difficile a causa delle sue proprietà fisiche: rispetto agli altri metalli, questo ha un elevato punto di fusione, superiore ai 1500 °C., per elevare la temperatura a gradi così alti occorrevano grandi quantità di carburante ed anche numerosi litri d’aria da soffiare sul fuoco per mantenerlo vivo. Per far ciò venivano usati mantici, ricavati da pelli d’animali, azionati con le mani o con i piedi dei fonditori. La tecnica utilizzata, per fondere il ferro, fino ad allora, era chiamata procedimento diretto: il minerale subiva un parziale arrostimento vicino alla miniera, dopo frantumato ed introdotto nella fornace insieme al carbone di legna, formando, così, degli strati. Queste erano in muratura, sul fondo vi era un foro, nel quale s’introduceva la bocca del mantice, per ventilazione durante la combustione. Affinché si raggiungesse la temperatura di fusione, il procedimento era lungo e poteva durare anche duo o tre giorni. Da questa prima lavorazione si ottenevano, così, dei blumi di ferro con un contenuto basso di carbonio, che da al metallo maggiore durezza, fragilità, ma ne riduceva la flessibilità. Se si avrebbe voluto dare maggior forza al ferro, era necessaria una seconda fase di lavorazione: la carburazione o cementazione, che consisteva nel battere una barra di ferro incandescente nel carbone di legna, con questo procedimento il minerale assorbiva il carbonio ed aumentando la sua resistenza. Nel corso dei secoli i cambiamenti nella tecnica siderurgica furono notevoli; sia nella funzionalità e nelle dimensioni dei forni che nella tecnica di fusione, introducendo il procedimento indiretto: la vera innovazione introdotta da questo procedimento fu l’applicazione dell’energia idraulica ai mantici, rendendo possibile avere una ventilazione maggiore e costante durante la combustione, ed un raggiungimento della temperatura di fusione in minor tempo. Il ferro colato si combinava con una quantità di carbonio più elevata, dando origine alla ghisa, rispetto al procedimento diretto, che portava alla produzione del ferro dolce. Se questa avrebbe dovuto essere “addolcita” si doveva procedere ad una decarburazione: battendo ripetutamente il metallo incandescente o rifondendolo con il ferro dolce.<br />
Con l’invenzione dell’altoforno la siderurgia fece un notevole passo in avanti. In questo congegno non era necessario l’arresto della combustione per estrarre i blumi o introdurre nuovo minerale e carbone. Nei più grandi di essi, il carbone poteva essere inserito dall’alto, ed era possibile trattare una maggiore quantità di minerale, rispetto alla vecchie fornaci, il cui rendimento era dieci volte più basso rispetto a quello di un altoforno. Con questa tecnica la manodopera impiegata era bassa, ma richiedeva un grande apporto energetico, infatti l’uso di esso era più comune vicino grandi zone boschive, in cui la legna era a basso prezzo. Nell’Europa del nord vi erano condizioni più favorevoli per l’istallazione di altiforni, mentre nell’Europa meridionale, sub-alpina e la Francia del sud questi erano o totalmente assenti o molto rari.<br />
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Giovanni Pignatone <br />
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UniAttivahttp://www.blogger.com/profile/05858617455233376992noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3483136845856085145.post-12553264832815476632013-02-21T08:30:00.000-08:002013-02-21T08:30:27.344-08:00La morte di Marat<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSWDj_PROaFycuvFVo4GkZtacBA6PsbcFn8uOVO0Q1oo6wvbUBQAuIKtczWrVwNlGUK8f6f4fM6Lkx8VS4NfvmgVsvuaVrV2xiAPlzekGyPwJ4CUdQX6kMH1728HHh4Pn6O5_IY8WBGU0/s1600/1198328842_f.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSWDj_PROaFycuvFVo4GkZtacBA6PsbcFn8uOVO0Q1oo6wvbUBQAuIKtczWrVwNlGUK8f6f4fM6Lkx8VS4NfvmgVsvuaVrV2xiAPlzekGyPwJ4CUdQX6kMH1728HHh4Pn6O5_IY8WBGU0/s400/1198328842_f.jpg" width="300" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="color: #000001; font-size: small;">1793, olio su tela </span><br style="color: #000001; font-size: medium;" /><span style="color: #000001; font-size: small;">Bruxelles, Museo delle Belle Arti</span></td></tr>
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<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Se dovessimo accostare al pensiero della Rivoluzione francese un’opera d’arte, la nostra mente assocerebbe quasi d’istinto il celebre dipinto di Eugène Delacroix <i>“La libertà che guida il popolo”</i>.</span></div>
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<span style="font-size: large;">Nonostante la sua inestimabile popolarità, essa non è la sola tra le produzioni artistiche degli anni della Rivoluzione, che raffigurano momenti quali la <i>“Presa della Bastiglia”, “Luigi XVI ritorna da Varennes”</i> e così via.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Uno degli aspetti più drammatici invece, è ritratto da Jacques-Louis <b>David</b>, il quale volle elevare la figura del suo amico Jean-Paul <b>Marat</b>, uno dei protagonisti della Rivoluzione francese, giornalista, politico e fautore della dittatura rivoluzionaria.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Marat, mentre era immerso nella vasca da bagno per lenire i dolori causati da una malattia della pelle, fu assassinato da una nobil donna chiamata Charlotte Corday, membro del gruppo politico dei <i>Girondini</i>.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">David raffigura il momento successivo alla morte dell’amico, accasciato su un lato, mentre ancora tiene in mano una lettera destinata ad una donna in difficoltà finanziarie. È facile notare anche l’assegno accanto al calamaio e il coltello insanguinato, abbandonato dall’assassina.</span></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEzD4bFHY95JvoVousL7T4-wRn-AGsHf44pdtiuL-IIFJmRYqB6RedaqZQ3h844OyXzYrlbkdbwGKvlDMLLyUSlRf6v_1s08NaTBurqGZ00R_hft1zJKRUVFkCGPs4j8kVfdMupYglfSs/s1600/PIC139O.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="153" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEzD4bFHY95JvoVousL7T4-wRn-AGsHf44pdtiuL-IIFJmRYqB6RedaqZQ3h844OyXzYrlbkdbwGKvlDMLLyUSlRf6v_1s08NaTBurqGZ00R_hft1zJKRUVFkCGPs4j8kVfdMupYglfSs/s200/PIC139O.jpg" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Particolare della lettera </td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Sebbene ritragga un delitto appena avvenuto, l’autore vuole omettere i dettagli cruenti e impressionanti, eliminare il superfluo (addirittura anche l’assassina), tramite una composizione essenziale basata su una semplice linea orizzontale ed una verticale, e l’utilizzo di pochi colori, quali il verde del drappo e il fondo nero contrastato dal pallido colore del corpo di Marat. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Il dipinto è carico di tratti distintivi e richiami <i>caravaggeschi</i>, come la plasticità e l’illuminazione della scena, così anche come il braccio (che spezza la composizione creando l’unica linea diagonale) abbandonato in una posizione simile a quella del <i>Cristo</i> nella <i>Deposizione</i>.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Tutto ciò occorre a trasformare lo scenario in un silenzioso momento di calma e solitudine, luogo in cui Marat viene circondato da elementi carichi di significato simbolico: la cassa di legno a fianco della vasca, in cui l’artista scrive il suo omaggio «À Marat, David» ricorda senza dubbio una lapide tombale; gli oggetti delle reliquie funebri, la vasca un sarcofago, la penna un’arma contrapposta a quella del delitto.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">David riesce egregiamente ad esaltare la virtù, l’eroismo, la semplicità e la monumentalità di Marat, martire della Rivoluzione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
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<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
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<span style="font-size: large;">Per saperne di più:</span></div>
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<span style="background-color: white; color: #333333; text-align: -webkit-auto;"><span style="font-family: inherit; font-size: large;"><i>La Nuova Enciclopedia dell'Arte Garzanti, 1986</i></span></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;"><a href="http://cultura.notizie.it/la-morte-di-marat/">http://cultura.notizie.it/la-morte-di-marat/</a></span></div>
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<span style="font-size: large;">Dario Crisafulli</span></div>
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Ruggero D'Amicohttp://www.blogger.com/profile/02039917167901649522noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3483136845856085145.post-74217684385850011012013-01-08T02:05:00.001-08:002013-01-08T02:05:18.739-08:00La Battaglia di Poltava<br />
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<b><span style="font-size: x-large;">Battaglia di Poltava</span></b></div>
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<span style="font-size: large;">28 Giugno 1709</span></div>
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Lo zar Pietro I il Grande sconfigge le truppe di Carlo XII segnando il declino della potenza svedese.</div>
Fu denominata come Campagna di Poltava una serie di battaglie combattute nel 1709, nei pressi di Poltava, tra l'esercito svedese guidato dal re Carlo XII di Svezia e quello russo guidato da Pietro il Grande, durante la Grande guerra del nord. La campagna si concluse con la vittoria dell'esercito russo e questo ribaltò le sorti della guerra, fino a quel momento favorevoli all'Impero svedese, poi vinta dall'Impero russo. Infatti, dopo quella sconfitta, la Svezia ne accusò altre, fino alla disfatta definitiva nel 1718, .<br />
La situazione Baltica visse sull'alternanza al potere delle nazioni racchiuse tra le coste orientali della Danimarca, fino a quelle occidentali delle attuali Lettonia, Estonia e Lituania. Protagoniste di primo piano furono, nel periodo antecedente alla battaglia di Poltava, la Svezia e la Russia mentre tra le comprimarie vi erano Danimarca, Prussia e Polonia.<br />
La Svezia aveva consolidato la sua potenza e il suo prestigio a partire dall'ingresso nella guerra dei trent'anni del re luterano Gustavo Adolfo nel 1630, che, nel tentativo di arginare l'imperatore Federico II, trovò vittoria e morte combattendo nella battaglia di Lutzen contro il Wallenstein(1632), dopo aver sbaragliato a Lipsia l'esercito di Tilly.<br />
La politica di espansione di Gustavo Adolfo venne interrotta per l'ascesa al trono della figlia Cristina, che si dedicò al consolidamento della Svezia quale potenza dominante nell'area baltica e oltre. In effetti, i domini della corona svedese si erano allargati alle città tedesche di Brema , Stettino e Stralsund, senza contare i territori di Finlandia, Carelia, Livonia, Estonia e Ingria che ne completavano l'assetto territoriale. L'espansione svedese venne favorita anche dalla diplomazia francese, che sperava di aver trovato un argine alla Germania e all'Impero, ma che comunque riservava dei dubbi sulle effettive potenzialità di un paese relativamente povero e con solo un milione e mezzo di abitanti.<br />
I successori di Cristina dissiparono ogni dubbio sulle capacità del paese scandinavo. Carlo X, negli anni che vanno dal 1654 al 1660, sconfisse la coalizione di Polonia, Danimarca, Brandeburgo e Russia; Carlo XI rafforzò l'assolutismo in Svezia, inoltre riformò esercito e legislazione, mentre toccò a Carlo XII, nel 1697, riconfrontarsi sul campo contro la vecchia coalizione di nemici. Il giovane regnante scandinavo si rivelò assai deciso sconffiggendo i russi a Narwa e i danesi di Federico IV, inoltre depose il re di Polonia Federico II, ponendovi al suo posto il futuro suocero di Luigi XV di Francia, Stanislao. Per completare il quadro mancava solo la sconfitta definitiva dell'avversario più minaccioso: la Russia dello Zar Pietro il Grande.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKGcAN_yAjJwba9WUgC5tnMyl6RhfbfV0q1wmz2Lubkm5UL4-Jkb4c30V-_zuvjp36xqYOUBv5dKxQL2UCJcn9InsfzlSu6UcEmYPpau1mbDax6afkQiObuBK1WPmfvMcF7bNsknrHUZr1/s1600/img1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKGcAN_yAjJwba9WUgC5tnMyl6RhfbfV0q1wmz2Lubkm5UL4-Jkb4c30V-_zuvjp36xqYOUBv5dKxQL2UCJcn9InsfzlSu6UcEmYPpau1mbDax6afkQiObuBK1WPmfvMcF7bNsknrHUZr1/s320/img1.jpg" width="320" /></a></div>
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<b>Battaglia di Poltava - Situazione politica in Europa</b><br />
Nonostante la netta sconfitta di Narwa (1700) Pietro il Grande era ben lungi dall'essere sconfitto definitivamente. Divenuto Zar nel 1697, Pietro I Romanov aveva consolidato la potenza russa sul Mar Nero(estromettendo quella turca) con la conquista di Azov, aveva consolidato le frontiere orientali respingendo le saltuarie offensive delle popolazioni della steppa e aveva iniziato il processo di modernizzazione burocratica dello stato russo, nel tentativo di "avvicinarsi" alle potenze occidentali.<br />
Dopo la già citata presa di Azov(1696), lo Zar si accordò con il sultano turco per un accordo trentennale di tregua, che gli diede la possibilità di organizzarsi per fronteggiare meglio la minaccia svedese. Prese d'assedio la città svedese di Narwa con 40.000, ritenendo che le truppe di Carlo XII avrebbero impiegato molto tempo prima di superare i danesi e di giungere in soccorso degli assediati: Ma con sua grande sorpresa 8.000 svedesi giunsero, protetti anche da una tempesta di neve che ne occultò l'arrivo, a soli 9 km dalle truppe russe, prima che queste riuscissero a prendere la città. Nonostante l'incredibile disparità numerica tra i due eserciti, gli svedesi riuscirono a mettere in fuga i russi, portando i due regnanti a due conclusioni diametralmente opposte: lo Zar ebbe dimostrazione dell'estrema efficienza militare svedese; Carlo XII iniziò a sottovalutare pesantemente i Russi considerandoli deboli ed obsoleti militarmente.<br />
La vigilia della battaglia<br />
Nel momento in cui Carlo XII riprese le attività militari contro Federico II, sovrano di Polonia e Sassonia, lo Zar Pietro sfruttò il tempo concessogli per riorganizzarsi e conquistare i territori all'estuario della Neva, oltre a saccheggiare la città di Narwa. Una volta che anche Federico II venne sconfitto, i russi si trovarono da soli a dover combattere contro gli svedesi. Pietro il Grande decise di iniziare un lento ritiro delle proprie truppe dalle zone appena conquistate, lasciando "terra bruciata" agli svedesi che nel frattempo si erano fermati in Slesia.<br />
Nella stessa Slesia la permanenza svedese ebbe breve durata, viste le ripetute incursioni tartare ordinate dallo Zar al confine tra la Russia e la Slesia stessa, ma soprattutto perchè la Slesia era ancora un territorio imperiale. Per non crearsi "noie" aggiuntive, Carlo XII decise di muovere verso il fiume Vistola, nel 1707, seguito da 24.000 cavalieri e 20.000 fanti. Il primo bilancio di questa spedizione in terra russa comportò la conquista di Grodno in inverno e l'avanzamento fino a Minsk ai primi di Giugno. Da questa posizione mosse verso il villaggio di Borisov, dove riuscì a distruggere letteralmente un esercito di ben 16.000 russi che gli si era opposto. Il giorno 8 Luglio dello steso anno, Carlo XII era già accampato sul Dnepr, nei pressi della città di Mogilev, in attesa del generale Lowenhaupt con i suoi 16.000 uomini e soprattutto con i suoi 7.000 carri di rifornimenti, indispensabili vista la tattica della "terra bruciata" adoperata dai russi, che rischiava di far morire di fame l'esercito scandinavo.<br />
Nel frattempo, a Mogilev, Carlo XII ricevette in udienza anche il capo elettivo dei Cosacchi, Mazepa, che prometteva i frutti dei ricchi raccolti cerearicoli dell'Ucraina e il supporto militare di 30.000 cosacchi , se il re svedese avesse appoggiato la causa dell'indipendenza ucraina contro lo Zar. In un primo tempo sembra che l'offerta non fosse seriamente presa in considerazione da Carlo, ma quando i rifornimenti di Lowenhaupt tardarono ad arrivare, le truppe svedesi ricevettero l'ordine dal loro sovrano di muovere verso sud, ossia verso i ricchi raccolti ucraini.<br />
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<b>Gli errori di Carlo XII</b><br />
Caratteristica peculiare, e difetto congenito del re Carlo XII di Svezia, era basare tutta la sua tattica militare non su dati oggettivamente inconfutabili, quanto lasciarsi trasportare dalla fantasia.<br />
Dopo aver posizionato il proprio campo ad Horki, Carlo calcolò che il generale Libeker avrebbe preso, con non troppa difficoltà, Pietroburgo attaccando dalla Finlandia, mentre il generale Lowenhaupt avrebbe raggiunto il re stesso con i suoi 7.000 carri pieni di viveri e munizioni. Mai, fino ad allora, previsione fu tanto errata. Libeker venne duramente sconfitto e ricacciato in territorio amico sino a Viborg, mentre le colonne di Lowenhaupt furono intercettate e distrutte dalle truppe di Pietro nei pressi di Propoisk. Solo nell'ultima sconfitta menzionata, gli svedesi lasciarono sul campo 8.000 uomini, 700 prigionieri e 17 cannoni.<br />
Ma neanche queste notizie, portate dai pochi superstiti che raggiunsero l'accampamento del re, fecero calare l'inguaribile "ottimismo" di Carlo XII, che pensava di poter ancora contare sull'appoggio cosacco assicuratogli da Mazepa. Ma quando Baturin, la città più ricca di viveri della regione, fu presa dai russi e Mazepa giunse ad Horki con appena 2.000 cosacchi, il quadro fu veramente chiaro al re scandinavo.<br />
La primavera del 1709 trovò gli svedesi a corto di approvvigionamenti, cosa che li costrinse a muoversi verso Poltava, piccola roccaforte nella quale i russi avevano accumulato una buona quantità di viveri e munizioni. A dispetto di quanto immaginato da Carlo, la resistenza della cittadina fu ferrea e lasciò il tempo allo Zar Pietro di arrivare in soccorso degli assediati. Lo Zar arrivò il 20 giugno e pose immediatamente il proprio campo fortificato in attesa dell'arrivo del suo avversario.<br />
Il combattimento alla svedese<br />
Tra il XVII e il XVIII secolo si verificarono, sui campi di battaglia europei, una serie di vittorie delle armate svedesi che segnarono una sorta di egemonia militare scandinava, con delle caratteristiche ben precise.<br />
La piccola rivoluzione in ambito militare delle truppe svedesi risale a Gustavo Adolfo di Svezia. Egli per primo comprese che, il sistema detto "Nassau", in cui lunghe file di fucilieri si alternavano al tiro e alla ricarica eseguendo il fuoco a raffica, poteva diventare decisivo, e lo introdusse quale asse portante dell'addestramento delle fanterie del suo regno. Il "sistema Nassau" non fu l'unica novità introdotta da Gustavo Adolfo nell'esercito svedese. Bandì tutte le truppe mercenarie, guadagnando in affiatamento e affidabilità degli uomini; divise il regno in distretti, ognuno dei quali avrebbe fornito un uomo per l'esercito ogni dieci validi; si interessò in prima persona dell'addestramento ed equipaggiamento standard dei suoi reggimenti.<br />
Inoltre, accostò ad ogni reggimento di fanteria una porzione di artiglieria leggera, detta "cannoni di cuoio", che doveva risultare rapida e veloce nel tiro almeno quanto i reggimenti che accompagnava. Un terzo della forza totale del reggimento era rappresentato dai picchieri e venne reintrodotto l'uso della carica della cavalleria, armata di sciabola e pistola. Dalla descrizione appena portata si evince come le modifiche introdotte da Gustavo Adolfo fossero quantitativamente e qualitativamente importanti. Gli eserciti svedesi, anche se di dimensioni ridotte, garantivano un fuoco a raffica che talvolta aveva cadenza doppia rispetto agli avversari; erano dotati una mobilità estrema, di una discreta coesione tra i reparti e soprattutto portavano ad un notevole risparmio di rifornimenti, soprattutto se paragonato a quanto precedentemente investito per gli obsoleti eserciti mercenari.<br />
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<b>Le forze in campo</b><br />
L'esercito russo poteva contare, prima della battaglia di Poltava, su ben 61 battaglioni di fanteria, 23 reggimenti di cavalleria e ben 100 cannoni a supporto dei 42.000 uomini totali a disposizione dello Zar Pietro I. Un particolare non trascurabile nelle file russe, era rappresentato dallo spirito nazionale, aumentato dopo la sconfitta di Narwa(risalente a nove anni prima) e rafforzato dall'energia della religione ortodossa, che dipinse come "eretico" l'invasore protestante svedese. Partiti in 44.000 dalla Svezia, gli scandinavi si ritrovarono solo in 24.000, compresi i cosacchi di Mazepa, a combattere per il re Carlo XII. Le linee svedesi potevano quindi contare su solo 24 battaglioni di fanteria e 41 di cavalleria, oltre ad una decina di cannoni. Fame, malattie e marce assai forzate, avevano decimato le truppe scandinave. Ma la netta inferiorità numerica non spaventò l'arrogante re Carlo XII, che proprio in situazioni come queste amava esaltarsi. A Poltava ,comunque, il suo "ottimismo" superò nettamente la misura, e l'aver pesantemente sottovalutato il valore militare russo gli costerà molto caro.<br />
Le fortificazioni<br />
Lo Zar Pietro il grande era sicuramente meno raffinato, dal punto di vista militare, del suo avversario svedese Carlo XII, ma non per questo era meno pragmatico.<br />
In considerazione della superiorità scandinava dal punto di vista qualitativo, nessun particolare doveva essere lasciato al caso sul versante russo, a partire dalla scelta del campo di battaglia. Pietro il Grande posizionò il proprio accampamento subito davanti al fiume Vorskla, costringendo gli svedesi ad attraversare, per raggiungerlo, una parte di campo senza vegetazione posta tra due boschi di difficile transito. La fascia di terreno che avrebbero attraversato le truppe di Carlo XII, fu fortificata da Pietro con sei fortini in tronchi d'albero in linea orizzontale e altri quattro in linea verticale, in modo tale da creare una frattura obbligata nelle linee scandinave.<br />
Un'ulteriore fattore giocava a favore e soprattutto all'insaputa dei russi: la ferita che Carlo XII subì in una scaramuccia precedente e che non gli consentiva di dirigere le operazioni delle proprie truppe nella loro interezza.<br />
Il terreno "obbligato", precedentemente studiato e attrezzato dal nemico, avrebbe indotto qualsiasi altro generale ad un'attesa per l'attacco avversario, ma il re svedese, per sua sfortuna, non la pensò alla stessa maniera.<br />
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<b>La battaglia</b><br />
L'esercito svedese inziò il poprio schieramento nella notte tra il 27 ed il 28 giugno 1709. In considerazione dell'inferiorità numerica, gli uomini di Carlo XII avrebbero dovuto muovere ed attaccare con largo anticipo i russi che, nel frattempo, avevano già disposto buona parte delle loro attrezzature campali. Carlo XII scelse di lasciare al campo i pochi cannoni rimastigli per non rallentare le truppe, di schierare le cavallerie al seguito delle fanterie e di lasciare alcune guarnigioni a difesa delle trincee lungo la Vorskla. Lo schieramento svedese prevedeva che l'ala destra muovesse sotto il comando del generale Roos, la riserva centrale era a disposizione del Lowenhaupt, mentre il re scandinavo con il feldmaresciallo Rehnskjold si posizionarono al comando dell'ala sinistra. L'obbiettivo primario svedese era di accerchiare le ridotte "spartiacque" ed annientarle nel più breve tempo possibile.<br />
Da parte sua lo Zar si limitò a posizionare parte delle proprie truppe in linea, dietro alle ridotte "orizzontali", lasciando al campo il grosso dell'esercito.<br />
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<b>Battaglia di Poltava - Schieramenti</b><br />
A causa della scarsa visibilità e della disposizione delle fortificazioni russe, l'offensiva svedese non avanzò in maniera omogenea. L'ala sinistra scandinava, al comando di Carlo XII, superò di slancio le ridotte e mise in fuga le fanterie e le cavallerie zariste che si trovò di fronte.<br />
Al contrario, l'offensiva dell'ala destra si bloccò nel tentativo di di impadronirsi di ognuno dei fortini russi, dando il tempo ad una parte delle truppe russe rimaste all'accampamento di prenderli di spalle. I 10.000 zaristi sopraggiunti distrussero completamente l'ala destra svedese e il generale russo Rensel riuscì a prendere Roos prigioniero. In quel momento, Carlo XII si era bloccato, con le truppe al suo seguito, fra l'accampamento russo e i fortini di cui aveva tralasciato la conquista. La sua sosta fu dettata dalla vista di truppe in arrivo che credeva fossero quelle di Roos, mentre in realtà erano i 10.000 di Rensel che stavano avanzando contro di lui. Convinto di poter sferrare l'attacco finale con l'esercito praticamente intatto, mandò a chiamare le artiglierie e i cosacchi di Mazepa, ricevendo la notizia della disfatta di Roos in un secondo momento. Aggiornato sulla distruzione della parte destra del suo esercito, il re svedese decise di chiamare in suo soccorso le riserve di Lowenhaupt, il quale, sembra ricevette l'ordine esattamente opposto, visto che non si mosse dalla sua posizione originaria.<br />
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<b>Battaglia di Poltava - Fase 1</b><br />
Di certo, le riserve di Lowenhaupt non avrebbero cambiato le sorti di uno scontro che era stato ormai deciso, in favore russo, dalla sosta di Carlo. Ben 40.000 russi si schierarono tra gli svedesi e l'accampamento ungo la Vorskla , mentre le artiglierie zariste ne proteggevano l'avanzata contro i soli 4.000 svedesi.<br />
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<b>Battaglia di Poltava - Fase 2</b><br />
Eroicamente, gli svedesi avanzarono disposti in sei file di fanteria con le cavallerie ai lati, contro un nemico di dieci volte numericamente superiore: la metà degli scandinavi fu falciata delle artiglierie, mentre i sopravvissuti, dopo aver addirittura sfondato la prima linea russa, cozzarono inesorabilmente contro le altre linee di rincalzo.<br />
Pochissimi svedesi tornarono vivi al loro campo, la maggior parte venne inghiottita dalla soverchiante massa di combattenti russi, oppure venne raggiunta dalle inesorabili sciabole della cavalleria zarista.<br />
Nella mischia che si venne a formare, Pietro I, vista la sua enorme statura, venne colpito da ben tre pallottole, di cui una venne deviata dal crocifisso che portava al collo.<br />
Carlo XII, venne messo in salvo da un gruppo di ufficiali dopo che 21 dei suoi 24 tra attendenti e portatori vennero uccisi da un colpo di cannone.<br />
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<b>Battaglia di Poltava - Fase finale</b><br />
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<b>Il bilancio</b><br />
Alla fine della giornata gli svedesi avevano perso circa 9.000 uomini oltre a 2.800 prigionieri al Feldmaresciallo Rehnskjold ed altri altissimi ufficiali. I russi contarono, da parte loro, 1.300 caduti.<br />
Il feldmaresciallo Rehnskjold, fu addirittura ospite del banchetto offerto dallo Zar Pietro subito dopo la fine della battaglia. Si narra che durante il pasto, lo Zar stesso promosse un' ironico brindisi in onore degli svedesi "maestri dell'arte della guerra", al quale lo stesso feldmaresciallo replicò tristemente "voi oggi li avete ben ringraziati". Con molto ritardo Pietro ordinò la carica delle proprie truppe contro quelle in ritirata di Carlo XII, che nel frattempo avevano già abbandonato il campo e si dirigevano verso il Dniepr. Il giorno successivo il re, con una piccola scorta, attraversò il fiume e si rifugiò in territorio turco, presso il quale sperava di poter riaccendere il conflitto in chiave anti-russa. Il comando delle truppe rimaste andò a Lowenhaupt che, il 30 giugno, si arrese con i 12.000 svedesi rimasti al generale russo Meshnikov.<br />
Nessuno svedese partito per quella spedizione fece più ritorno a casa.<br />
Le conseguenze<br />
Se agli occhi dei cronachisti contemporanei, la battaglia di Poltava era solo uno dei vari conflitti che si svolgeva sui campi europei da quasi 2 secoli, oggi, lo stesso scontro, appare come una tappa storica per le vicende dell'intera Europa.<br />
La vittoria russa segnò la dominazione dello Zar su Ucraina, Baltico e la riduzione del regno Polacco, portando nello scacchiere politico, economico e militare europeo un protagonista di prim'ordine. Ma l'avvicinamento "geografico" all'Europa, comportò anche una serie di variazioni nella condotta politica di Pietro I stesso. Lo Zar accelerò il processo di rinnovamento istituzionale e sociale del suo paese per avvicinarsi all'occidente, dovuto soprattutto al grande supporto datogli dalla sua nuova classe dirigente(installata non a caso dopo la vittoria di Poltava) di stampo "europeo". A questo punto Pietro venne dichiarato "Padre della Patria e Imperatore" e nell'anno 1721 nasceva ufficialmente la Russia.<br />
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Bibliografia :<br />
http://www.arsbellica.it/default.htm<br />
Le vie della Modernità, Aurelio Musi, Edizioni Sansoni<br />
La rivoluzione militare, Parker, il Mulino<br />
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di Alberto Giulio Ruvolo</div>
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UniAttivahttp://www.blogger.com/profile/05858617455233376992noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3483136845856085145.post-23700557612739745132013-01-08T01:52:00.000-08:002013-02-18T08:56:14.791-08:00Le Idi di Marzo<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhZXLUS4AhILLob9A9pwKBTxbGpQRuR8qHpLhLnfG1GZGPhTYkuZp0stIuNzWQ_bbfOAc2GfCLS8MrJgXqNKEcRc11ONfMVfM2VXXQerEwaYYtenSALfAWJb3qca4KVwXobxF5eVSAQMTw/s1600/Valerio-Massimo-Manfredi-Idi-Di-Marzo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhZXLUS4AhILLob9A9pwKBTxbGpQRuR8qHpLhLnfG1GZGPhTYkuZp0stIuNzWQ_bbfOAc2GfCLS8MrJgXqNKEcRc11ONfMVfM2VXXQerEwaYYtenSALfAWJb3qca4KVwXobxF5eVSAQMTw/s320/Valerio-Massimo-Manfredi-Idi-Di-Marzo.jpg" width="218" /></a></div>
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Roma, inizi di marzo del 44 avanti Cristo. Caio Giulio Cesare, il dittatore perpetuo, è un uomo stanco e malato, incapace di reggere sulle spalle il peso di un potere immenso. I tempi e la logica politica della congiura definitiva incalzano implacabili. A nulla possono gli sforzi di Publio Sestio, il più fedele legionario di Cesare, la cure della moglie Calpurnia, le attenzioni di Servilia e del medico Antistio. I presagi si compiranno, le Idi di marzo deflagreranno e il mondo non sarà più lo stesso.<br />
Valerio Massimo Manfredi espone e analizza le complesse caratteristiche politiche e psicologiche di quell'evento che segnerà una profonda svolta nell'evoluzione della storia dell'umanità; una vicenda ben conosciuta ma che mai ha messo in risalto le emozioni, le passioni, le paure di quelli che sono i protagonisti della congiura che porterà all'uccisione di uno degli uomini più potenti e riconosciuti della storia.<br />
Ancora una volta l'autore si conferma per l'accuratezza nei dettagli della descrizione di Roma e ci stupisce per l'ammirevole impegno profuso nell'esporci le paure di Cesare, un uomo ormai stanco, malato e in preda a incubi spaventosi che dopo le vicende del Rubicone è stato colpevolizzato di aver messo a repentaglio la libertà della repubblica.<br />
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Di Angelo MarroneUniAttivahttp://www.blogger.com/profile/05858617455233376992noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3483136845856085145.post-67201197549933741022012-12-18T09:30:00.003-08:002012-12-18T09:30:43.646-08:00Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoaJPcOXSuAuKpPS_5kbLEXq8EXCE_feFtaI2bdtNFGEplmAHl1Vk5EDtxSlojyo-IXOMMxSPbTqLkmXXDsAoRxcr5NCBQiMrcNABDvrxewScBn2FAXZZ5s64RgY_mvZ-jwDi6QmBNfaTC/s1600/Il_Quarto_Stato_di_Giuseppe_Pellizza_da_Volpedo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoaJPcOXSuAuKpPS_5kbLEXq8EXCE_feFtaI2bdtNFGEplmAHl1Vk5EDtxSlojyo-IXOMMxSPbTqLkmXXDsAoRxcr5NCBQiMrcNABDvrxewScBn2FAXZZ5s64RgY_mvZ-jwDi6QmBNfaTC/s400/Il_Quarto_Stato_di_Giuseppe_Pellizza_da_Volpedo.jpg" width="400" /></a></div>
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Il Quarto Stato è l’opera più conosciuta di Pellizza da Volpedo (Volpedo, 28 luglio 1868 – Volpedo, 14 giugno 1907) realizzato nel 1901, ed inizialmente intitolato Il cammino dei lavoratori.<br />
Per il tema , le dimensioni e la sua storia, caratteristiche intrinseche di questo capolavoro. Possiamo dividerne la vita in due parti, la prima riguarda la genesi dell’opera, dal 1892 al 1901; quella successiva dal 1901 ad oggi.<br />
Il quadro si può ritenere un’opera simbolo del XX secolo, rappresenta in primo luogo lo sciopero dei lavoratori ed è stata eseguita secondo la tecnica divisionista, una tecnica che non si può definire derivante da un movimento ben preciso. L’opera raffigura una scena di vita sociale,lo sciopero, oltre a costituire in modo netto un simbolo: il popolo, in cui trova spazio paritario(da notare le innovazioni anche per quanto riguarda le dispute di genere) anche una donna con il bambino in braccio. Il dipinto è il completamento del tema già ampiamente affrontato dall'artista in dipinti come Ambasciatori della fame, Fiumana e un bozzetto preparatorio del 1898, Il cammino dei lavoratori.<br />
Il dipinto ha la caratteristica di rappresentare perfettamente l’idea di una massa in movimento che avanza verso chi guarda. L’idea è già chiara da subito nei tentativi precedenti dell’artista, ma il disegno molto abbozzato e una tecnica divisionista non sono del tutto soddisfacenti nei disegni preparatori. Inoltre, affinché il simbolo sia ben chiaro e riesca ad evocare un messaggio a chi guarda, deve essere reale, rappresentare “ciò che davvero è”, ossia il vero Cammino dei lavoratori e non il fiume indistinto da cui prende il nome il quadro. È dall’elaborazione raggiunta nel Cammino dei lavoratori del 1899, che Pellizza realizzerà infine il Quarto Stato concluso nel 1901.<br />
Le figure, dai tre personaggi in prima fila fino agli ultimi nelle retrovie, devono imporsi nel quadro con forza e dignità. E così vengono ritratti uomini del suo paese a grandezza naturale. Al della tela troviamo un uomo anziano, un lavoratore, una donna (la moglie di Pellizza, Teresa) ed un bambino. Nel tentativo di andare a fondo nell’analisi socio-politica del dipinto, possiamo definire che Il Pellizza pone in avanti le tre anime del socialismo, o, interpretazione più stravagante, le tre età della vita. I piedi non sono allineati, poiché ciascuno ha il suo passo, le mani gesticolano, i volti si guardano e guardano chi osserva il quadro.<br />
Nell’idea di Pellizza questo quadro, sintesi delle sue aspirazioni umane ed artistiche, avrebbe dovuto trovare presto un compratore, ma così non fu, tant’è che il pittore, poco riconosciuto in vita, morì nel 1907 suicida e il quadro venne venduto più di dieci anni dopo.<br />
Per analizzare il “Quarto Stato”non bisogna dunque solo analizzare il suo tema, seppur pregnante di notevoli considerazioni, ma è anche la sua tecnica, il suo autore, i suoi colori, la sua storia. Rappresenta la chiusura di un secolo e la fine della pittura di Accademia, un capolavoro di artista che ancor oggi è purtroppo spesso dimenticato come quadro ma è spesso utilizzato come gadget o come riferimento a un momento storico in cui le masse prendevano coscienza, una coscienza che oggi, nell’era del consumismo e della globalizzazione, stanno progressivamente smarrendo.<br />
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Per saperne di più:<br />
Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo - Scotti Tosini Aurora, 1998, Edizioni TEA<br />
Associazione Pellizza da Volpedo - http://www.pellizza.it/<br />
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Ruggero D'Amico<br />
UniAttivahttp://www.blogger.com/profile/05858617455233376992noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3483136845856085145.post-74347008449964375902012-12-18T09:23:00.003-08:002012-12-19T04:47:19.937-08:00La Danza Haka<br />
Al mondo vi sono i bambini che allietano i loro pomeriggi leggendo qualche topolino o guardando le serie tv dei classici Disney; prima di andare a letto questi stessi bambini pregano il genitore di leggere loro una favola, sono favole che narrano di imprese eroiche e di principi azzurri che salvano la principessa dal fato crudele. Questi stessi pargoli poi si addormentano felici alla fine della favola perché il bene trionfa contro il male. Poi, però, ci sono altri bambini a cui non interessano minimamente le avventure di topolino, né che la principessa abbia un bel vestito rosa da sfoggiare al ballo, né tantomeno si addormentano felici alla fine del racconto perché hanno mille domande in testa: perché il Drago è stato inserito nella favola? Perché spesso si parla di castelli abbandonati, viaggi inaspettati e poteri magici? In breve com’è che una favola ha inizio? Quale storia c’è dietro la favola? E con queste domande ebbe inizio la fine. Questi stessi bambini, animati dalla curiosità di scoprire le radici del sapere, non si soffermano a leggere i topolino o a guardare cartoni animati in TV ma passano a vedere i documentari, di qualsiasi tipo e genere per avere una visione più ampia del mondo. Poi questi stessi bambini diventano adolescenti, ai quali non basta più il documentario in TV per dissetare la propria sete di Sapere. Cosa fare in questi casi? Si passa così alla lettura di testi storico-antropologici o letteratura odeporica. Ma spesso non basta la letteratura, serve un’esperienza diretta per rendersi conto del reale e delle differenze. È in questo momento che si sceglie il Viaggio come strumento di conoscenza e di sapere. È questo che noi, autrici della rubrica, abbiamo scelto.<br />
Il Viaggio e la Letteratura sono due elementi inscindibili dalla nostra curiosità e sete di Sapere. Spesso accade che leggendo un libro ci poniamo delle domande e prendiamo le valigie e partiamo per un luogo per toccare con mano quella realtà, ma questo non significa che non possa accadere anche il contrario. Allora la domanda di partenza che ci poniamo sempre è “i comportamenti, gli atteggiamenti culturali e le espressioni linguistiche sono tutti elementi che hanno una forte stratificazione storica. Qual è quindi la loro Storia?”. Da questa unica domande se ne possono trarre un’infinità ma per ora ci limitiamo a questa e a introdurvi la rubrica Lo sapevate che… volta a condividere, con chi vorrà, tutte gli elementi poco o molto conosciuti di un paese: dal ruolo della musica nella rivoluzione culturale maoista, alle pratiche religiose dell’Europa pagana; dalle storie dei primi gruppi anarchici italiani negli Stati Uniti, a fenomeni linguistici stravaganti nelle lingue germaniche; dalle pratiche religiose sessuali di alcune sette shintoiste all’architettura gotica di Budapest; dai commerci un tempo floridi di Timbuktu alle danze tradizionali di un popolo.<br />
Lo sapevate che… vuole stimolare la curiosità di ognuno di voi per la storia e la cultura di tutti i popoli.<br />
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Giusto stamattina ho visto un documentario sulla Nuova Zelanda e hanno parlato dei All Blacks, la Nazionale di rugby del New Zealand, i quali intonano un canto prima di ogni partita e contestualmente intimoriscono l’avversario con una vera e propria danza che porta il nome di “Haka”. Originariamente non è stata di certo creata per scopi quali il rugby dai Māori, popolazione autoctona della Nuova Zelanda, ma per loro era una danza molto versatile e utile ad esprimere diversi stati d’animo anche fra di loro contrapposti. È una danza suonata solo con il corpo, con tutti gli strumenti che la Natura ci ha fornito: gambe, piedi, mani, lingua e voce; con questi i Māori intonava lo stesso canto Haka (Ha = respiro, Ka= vita) per intimorire gli avversari in una guerra, oppure per esprimere momenti di passione e vigore nel proprio villaggio. Per capire appieno la sua versatilità è forse più idoneo citarvi l’asserzione dell’antropologo A. Armostrong “La Haka […]è, al suo meglio, un messaggio dell'anima espresso attraverso le parole e gli atteggiamenti.”<br />
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Luthien Cangemi<br />
Maria Roberta Enea</div>
UniAttivahttp://www.blogger.com/profile/05858617455233376992noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3483136845856085145.post-78797368169243745662012-12-04T14:21:00.002-08:002012-12-04T14:26:47.593-08:00L'uso della Forchetta<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhAyzc_8MpAoMWfGXObEb28XcsV6VDlj2OvcPc2tBgkmRfdsvzL2mTeLoCN_pc0rcujjo974yx63a1uD-Ti0Zzrity_SrLPrLeqbO0H_VXNXtRur8CroSUpyTfB5_woD9asVLfKn6mKyU1/s1600/Forchetta.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhAyzc_8MpAoMWfGXObEb28XcsV6VDlj2OvcPc2tBgkmRfdsvzL2mTeLoCN_pc0rcujjo974yx63a1uD-Ti0Zzrity_SrLPrLeqbO0H_VXNXtRur8CroSUpyTfB5_woD9asVLfKn6mKyU1/s320/Forchetta.jpg" width="320" /></a></div>
Sicuramente fra le posate il coltello ha l'origine più remota. Veniva utilizzato accompagnato dall'ausilio delle dita, mentre gli alimenti liquidi venivano raccolti con il cucchiaio.<br />
La forchetta ha di sicuro origini più recenti: si pensa che sia stata inventata in area mediterrnea. Si ha conoscenza dell'utilizzo di questa posata in età tardo imperiale, grazie ad alcuni ritrovamenti archeologici di forchette, con due o tre rebbi, chiamate ligula o lingula, aventi la forma di piccole lance concave.<br />
Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, in quest'area se ne perse l'utilizzo, ma nell'Impero Romano d'Oriente continuò.<br />
L'uso della forchetta venne ripreso in occidente nel XI sec., n'è testimonianza un manoscritto miniato, ritrovato a Montecassino. Nella miniatura compaiono due uomini seduti a tavola, uno dei quali usa una forchetta.<br />
Nel 1003, la forchetta "sbarca" a Venezia, portata dalla Principessa Maria Argyropouliana, nipote dell'Imperatore bizantino Costantino VIII, che venne data in sposa a Giovanni Orseolo, figlio del Doge Pietro. L'uso di questo strumento fu condannato da alcuni esponenti della Chiesa, tra cui Pier Damiani, i quali vietarono l'utilizzo delle forchetta perchè nell'immaginario cristiano era un oggetto in uso al diavolo.<br />
Ma non riuscirono a bloccare l'utilizzo della posata, che si diffuse prima in tutta Italia per poi arrivare in Europa.<br />
A Firenze era in uso nella famiglia Pucci, n'è testimonianza un dipinto di Botticelli le "Nozze di Nostalgio degli Onesti", commissionato da Lorenzo Dè Medici.<br />
Altre forchette si ritrovano nella corte di Carlo V e Parigi, portate d Caterina Dè Medici ed usate da suo figlio, Enrico III di Valois. Ma l'uso non si diffuse subito in francia, infatti Luigi XIV, il Re Sole, preferiva mangiare con le mani. Un celebre dipinto di Ingrés ritrae il Re e Moliér a cena, sulla tavola imbandita mancano le forchette. Il sovrano inizierà ad utilizzarle solo dopo essersi trasferito a Versailes, nel 1684.<br />
Nel XVII sec. la forchetta "approda" in Inghilterra, rimarrà per un secolo solo una delle tante frivolezze aristocratiche.<br />
Le superstizioni religiose si opposero strenuamente all'utilizzo della posata. Solo nel XVIII sec., l'autorità ecclesiastica ne concede l'uso.<br />
La manutenzione di forchette e coltelli poneva dei problemi. Dovendo togliere la ruggine dai rebbi e dalle lame, le posate andavano incontro ad una precoce usura e presto avrebbero dovuto essere sostituite. Solo nel 1914, con l'invenzione dell'acciaio inossidabile si poterono costruire posate a pezzo unico eliminando, così, la necessità di produrre manici indipendenti e lame intercambiabili.<br />
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di Giovanni PignatoneUniAttivahttp://www.blogger.com/profile/05858617455233376992noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3483136845856085145.post-18465240999758556032012-12-04T10:57:00.000-08:002012-12-05T18:30:52.964-08:00Caterina de’ Medici (1519-1589)<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZEw5_z48p_KJQ6DMHIMPqtLgb_1a3yhwpKWXYjEtxcqupFra3JOu7Otwe1ts0-jAFNFpsfQr-A-28SnAjjhkZrl-GHAGsn7hvERmCDyqgQX9OXjIrpn6zcuHY45Oax4EyGRD8AoHVLhYd/s1600/Catherine_de_Medicis.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZEw5_z48p_KJQ6DMHIMPqtLgb_1a3yhwpKWXYjEtxcqupFra3JOu7Otwe1ts0-jAFNFpsfQr-A-28SnAjjhkZrl-GHAGsn7hvERmCDyqgQX9OXjIrpn6zcuHY45Oax4EyGRD8AoHVLhYd/s320/Catherine_de_Medicis.jpg" width="258" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Caterina de Medici in abito vedovile</td></tr>
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Figlia di Lorenzo de’ Medici e di Maddalene de-la-Tour d’Avegne, Caterina de’ Medici è sicuramente uno dei personaggi più controversi e di difficile lettura della storia; oltre il legame con la magia nera, la cartomanzia e il rapporto con Nostradamus ciò che più la recrimina è la sua ambiguità.<br />
Nel 1533, andò in sposa a Enrico II d’Orléans, la dote di Caterina servì per colmare il debito delle finanze reali. I Francesi la odiarono profondamente, alla base di questo rancore, per J. Orieux, autore di Caterina de’ Medici. Un’italiana sul trono di Francia, c’è un problema di genere: è una donna. Essi poco gradivano la presenza a Corte di un’italiana, imposta a Enrico dal pontefice.<br />
Nei primi anni in Francia, la regina occupa uno spazio minimo nei giochi di potere; soltanto con la morte del suo primogenito, Francesco I, ella diventa Delfina e acquista rilevanza nella vita politica.<br />
All'inizio adottò una politica doppiogiochista tra ugonotti e cattolici, gli avversari la accusarono di tergiversare tra le fazioni. L’errore che commise fu quello di sottovalutare questo scontro religioso che portò alla notte di San Bartolomeo (24-25 Agosto 1572). In questa notte molte furono le vittime a Parigi e dintorni «il peggiore dei massacri religiosi del secolo» ; l’opinione pubblica e la storia non perdonarono mai la “Reine Noire” per questo massacro.<br />
La storiografia recente ci dipinge un ritratto politicamente positivo: una regina tollerante, che ama la pace e che predilige la diplomazia alle armi. L’aspetto che ancora oggi rimane misterioso è la magia. Caterina è davvero una strega? Un’assassina? O addirittura una ninfomane?<br />
Quello che è certo è che, le accuse mosse alla regina vanno esaminate all'interno della sua epoca, è questa la tesi della studiosa di arte Luisa Capodieci, autrice del saggio “Medicae Medae. Art, Astres et Pouvoir à la Cou de Cathérine de Medicis.”, la quale sostiene che Caterina non fosse un’eretica.<br />
Tante sono le leggende legate alla sua affascinante figura: pare che portò l’uso della forchetta dalla corte fiorentina dei Medici a quella francese; stessa cosa sembra sia avvenuta per i profumi, che diffuse al Louvre per curare la pulizia personale del marito. È dal ricordare anche che lanciò l’uso delle mutande in Francia, in modo da rendere più comoda e più igienica la pratica dell’equitazione.<br />
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Per saperne di più:<br />
-La Regina Margot di Alexandre Dumas. (1845)<br />
-La regina maledetta di Jeanne Kalogridis. (2009)<br />
- Honore De Balzac - Catherine De'Medici (1841)<br />
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di Roberta CrisafulliUniAttivahttp://www.blogger.com/profile/05858617455233376992noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3483136845856085145.post-28990514782149262992012-03-12T03:29:00.000-07:002012-12-05T18:41:30.397-08:00Raccolta e pubblicazione delle tesi di laurea in Storia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFpcSbdCOFMkVg4cOHhgmJUX4xp3PIbHmu52l3v6XBTFJeD6yeELHUCmfxNnFyuYhw4JUScRi5TsEloc80mU-UG_9Jqpy22aNgQiynp9Vj3-AnfbSCLM6zsrdrOFtUu1UcXhDaEwJHtg91/s1600/tesidilaurea.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFpcSbdCOFMkVg4cOHhgmJUX4xp3PIbHmu52l3v6XBTFJeD6yeELHUCmfxNnFyuYhw4JUScRi5TsEloc80mU-UG_9Jqpy22aNgQiynp9Vj3-AnfbSCLM6zsrdrOFtUu1UcXhDaEwJHtg91/s1600/tesidilaurea.jpg" /></a></div>
L'Associazione Imago Siciliae si pone come primario l'obiettivo di valorizzare gli studi storici nell'ateneo palermitano e di valorizzare i giovani studiosi che dedicano i propri studi accademici alle varie aree di studi storici. Alla luce di questo, in attesa della realizzazione della rivista ufficiale di Imago Siciliae, ci proponiamo di <b>raccogliere catalogare, pubblicare e rendere consultabili online tutte le tesi di laurea di coloro che vorranno utilizzare il nostro spazio per rendere pubblici i propri studi.</b><br />
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Ci sarà la possibilità di consegnare il file con la tesi completa all'indirizzo e-mail associazioneimago.siciliae@gmail.com, oppure di lasciare un cd o un supporto qualunque presso l'auletta UniAttiva al pianterreno della facoltà di Lettere e Filosofia.Ruggero D'Amicohttp://www.blogger.com/profile/02039917167901649522noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3483136845856085145.post-31843336421990877542012-01-06T07:52:00.000-08:002012-12-05T18:38:53.826-08:00Benvenuti<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgThlsquy9LZWKiAErqiKTB8-j4ncBJP0BcVzR7iV1XPsYQt-Z32XlERYVeD48nWIL3a8-F1kZLr0wJGFii9xXkpi2LLI7pEGBcuM-OsceDtCnchWe-0cS8KhsrKLRvbAUWfLj7HeZPSpCl/s1600/File+4.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgThlsquy9LZWKiAErqiKTB8-j4ncBJP0BcVzR7iV1XPsYQt-Z32XlERYVeD48nWIL3a8-F1kZLr0wJGFii9xXkpi2LLI7pEGBcuM-OsceDtCnchWe-0cS8KhsrKLRvbAUWfLj7HeZPSpCl/s1600/File+4.jpg" /></a></div>
Benvenuti nel nuovissimo blog dell'Associazione Imago Siciliae, utile mezzo di comunicazione per promuovere le attività culturali e seminariali dell'associazione ma anche per diffondere l'amore e la passione per la storia che contraddistingue il nostro lavoro. <br />
L'Associazione Imago Siciliae ha come scopo la promozione della ricerca storica e l'interazione fra studenti, ricercatori e professori nel campo delle discipline storiche.<br />
Essa ha sede a Palermo e nasce dall' esperienza di collaborazione fra studenti, laureati del Corso di Scienze Storiche e il corpo docente della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Palermo.<br />
Al fine di alimentare il confronto culturale, essa si propone di creare momenti seminariali, convegni, riviste scientifiche per porsi a contributo all'interno del dibattito culturale nel campo della ricerca storica.<br />
Chiaramente l'interesse per tutte le tematiche e per argomenti caldi legati al mondo della storia e della storiografia può essere tenuto vivo da chiunque voglia dare un contributo costruttivo all'interno di questo spazio generato proprio per alimentare la costruzione e la diffusione di nuove idee.<br />
Dunque ancora benvenuti...Ruggero D'Amicohttp://www.blogger.com/profile/02039917167901649522noreply@blogger.com0