giovedì 21 febbraio 2013

Miniere e Metallurgia

Con il termine industria accentrata si può definire quell’attività di trasformazione svolta dai lavoratori sotto sorveglianza e direzione di un supervisore, dietro compenso e con strumenti non appartenenti ad essi. Questa tipologia d’industria è tipica dell’Europa moderna, ma già nelle epoche più antiche ve n’erano presenti alcuni tipi: nell’impero romano erano presenti opifici statali, in cui lavoravano schiavi o lavoratori liberi pagati in natura.
Uno degli esempi tipici di lavoro accentrato erano le miniere. In queste, soprattutto le più piccole, il lavoro veniva svolto da produttori indipendenti, che praticavano scavi o incisioni superficiali, vendendo i filoni di minerale ricavato ai mercanti. In questo tipo di miniera, i minatori svolgevano altre attività, oltre quelle estrattiva: erano spesso piccoli proprietari terrieri o affittuari, per la maggior parte del tempo lavoravano i campi, e solo in tempi morti dedicavano le loro energie all’estrazione del minerale. Nel Medioevo, era frequente che questi lavoratori si riunissero a formare compagnie per ottenere, collettivamente, la licenza di scavo.
Tra il Duecento ed il Trecento, vi furono apportati diversi cambiamenti nell’attività mineraria: gallerie più profonde e l’applicazione di tecniche entrate in uso nel mondo rurale, come la ruota ad acqua ed i canali di drenaggio. Queste tecnologie favorivano la fuori uscita dell’acqua dai canali e prevenivano l’infiltrazione di essa, così da garantire ai minatori una penetrazione maggiore nella montagna e quindi l’estrazione dei filoni più profondi. Nella seconda metà del Quattrocento venne utilizzata la polvere da sparo per aprire varchi più ampi nel terreno, ma soltanto nel Seicento se ne fece un uso sistematico. Sempre nel Quattrocento sono datati i primi utilizzi di carrelli per il trasporto dei minerali, prima su rotaie di legno, progressivamente sostituite da quelle in ferro, l’uso di frantoi idraulici per la frantumazione dei prodotti estratti, l’uso di laveria a scorrimento, a flottazione o a catena. L’industria mineraria fece un altro balzo avanti così importante solo nel Settecento, dopo che venne introdotta la tecnologia a vapore.
Se nel Medioevo l’industria estrattiva era organizzata in piccole compagnie, un’organizzazione totalmente diversa si ebbe durante l’età moderna. Il minerale veniva estratto da gruppi di lavoratori che operavano agli ordini di un coordinatore, le attrezzature utilizzate per lo sfruttamento della miniera erano notevolmente costose e di grandi dimensioni, ed ancor di più lo erano i macchinari per la frantumazione, il lavaggio e la torrefazione del minerale, quindi risultava difficile e scomodo spostare questi macchinari, era più utile lavorare il minerale appena estratto dalla miniera. Sicuramente, già nel XVI secolo, un’organizzazione accentrata era in uso nella maggior parte delle miniere europee, accanto a questa sorgevano capannoni in cui i lavoratori potevano dormire e rifocillarsi.
   Per molti secoli il settore metallurgico fu incapace di raggiungere un livello più alto, soprattutto per la lavorazione del ferro, il metallo più abbondante in natura, ma anche quello più difficile da lavorare. Dall’età del ferro, l’uso di questo aprì la strada in diversi campi dell’attività dell’uomo: agricoltura, guerra, industria e commercio. Per più di duemila anni, in Europa, la tecnologia siderurgica rimase pressoché invariata. Nell’prima dell’anno Mille un contadino avrebbe potuto disporre di pochissimi grammi di ferro l’anno, questo era quasi tutto utilizzato per la costruzione di armi per i nobili ed i cavalieri. Tra il Medioevo e l’età moderna i progressi maggiori furono apportati nel settore siderurgico. La lavorazione del ferro, come detto sopra, era particolarmente difficile a causa delle sue proprietà fisiche: rispetto agli altri metalli, questo ha un elevato punto di fusione, superiore ai 1500 °C., per elevare la temperatura a gradi così alti occorrevano grandi quantità di carburante ed anche numerosi litri d’aria da soffiare sul fuoco per mantenerlo vivo. Per far ciò venivano usati mantici, ricavati da pelli d’animali, azionati con le mani o con i piedi dei fonditori. La tecnica utilizzata, per fondere il ferro, fino ad allora, era chiamata procedimento diretto: il minerale subiva un parziale arrostimento vicino alla miniera, dopo frantumato ed introdotto nella fornace insieme al carbone di legna, formando, così, degli strati. Queste erano in muratura, sul fondo vi era un foro, nel quale s’introduceva la bocca del mantice, per ventilazione durante la combustione. Affinché si raggiungesse la temperatura di fusione, il procedimento era lungo e poteva durare anche duo o tre giorni. Da questa prima lavorazione si ottenevano, così, dei blumi di ferro con un contenuto basso di carbonio, che da al metallo maggiore durezza, fragilità, ma ne riduceva la flessibilità. Se si avrebbe voluto dare maggior forza al ferro, era necessaria una seconda fase di lavorazione: la carburazione o cementazione, che consisteva nel battere una barra di ferro incandescente nel carbone di legna, con questo procedimento il minerale assorbiva il carbonio ed aumentando la sua resistenza. Nel corso dei secoli i cambiamenti nella tecnica siderurgica furono notevoli; sia nella funzionalità e nelle dimensioni dei forni che nella tecnica di fusione, introducendo il procedimento indiretto: la vera innovazione introdotta da questo procedimento fu l’applicazione dell’energia idraulica ai mantici, rendendo possibile avere una ventilazione maggiore e costante durante la combustione, ed un raggiungimento della temperatura di fusione in minor tempo. Il ferro colato si combinava con una quantità di carbonio più elevata, dando origine alla ghisa, rispetto al procedimento diretto, che portava alla produzione del ferro dolce. Se questa avrebbe dovuto essere “addolcita” si doveva procedere ad una decarburazione: battendo ripetutamente il metallo incandescente o rifondendolo con il ferro dolce.
 Con l’invenzione dell’altoforno la siderurgia fece un notevole passo in avanti. In questo congegno non era necessario l’arresto della combustione per estrarre i blumi o introdurre nuovo minerale e carbone. Nei più grandi di essi, il carbone poteva essere inserito dall’alto, ed era possibile trattare una maggiore quantità di minerale, rispetto alla vecchie fornaci, il cui rendimento era dieci volte più basso rispetto a quello di un altoforno. Con questa tecnica la manodopera impiegata era bassa, ma richiedeva un grande apporto energetico, infatti l’uso di esso era più comune vicino grandi zone boschive, in cui la legna era a basso prezzo. Nell’Europa del nord vi erano condizioni più favorevoli per l’istallazione di altiforni, mentre nell’Europa meridionale, sub-alpina e la Francia del sud questi erano o totalmente assenti o molto rari.


Giovanni Pignatone  

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